Cosa ci abbia portato a stare davanti a “Bridget Jones’diary” alle 21, è una lunga storia.
Innanzitutto, partirei dalla giornata: una domenica uggiosetta, cominciata tardi per via della scarpinata di ieri e proseguita all’insegna dello “stiamo rilassati, ché è vacanza”. Mangiamo a casa il coniglio avanzato dall’ultima spesa con insalata e sottaceti. Poi cominciamo a pianificare. Decidiamo di uscire, tardino: andiamo a prendere un caffè alla palla di vetro, e ne approfittiamo per comprare la colazione. Veniamo a conoscenza di un supermercato sulla parallela di casa, e ci andiamo. La strada è niente male: ci sono localini, ristoranti, e a un certo punto vedo questo:
Il supermarket è molto carino (e aperto); prendiamo il latte, l’occorrente per fare i panini, il Nescafé, altro amaro ecc. Ritorniamo a casa con la busta (non ci siamo allontanati molto, in verità) e mettiamo le cose a posto. Moneti decide di fare le patate e gli asparagi, e io ne approfitto per sentirmi la partita della Lazio su Radio6. Nel frattempo, scrivo il diario di ieri, che è lungo, e mi occuperà un bel po’ di tempo. Dopo la prevedibile mazzata col Napoli (4-2), usciamo di nuovo, alle 17 inoltrate. Resteremo a Pest meridionale, e ci faremo un giro al ghetto ebraico, che ospita la sinagoga più grande del mondo, dopo quella di New York. Pioviggina. Prendiamo un tram e scendiamo davanti all’Astoria. Di qui, dopo un breve tragitto, costellato di palazzi molto particolari
Vediamo il profilo della Sinagoga. Bella, imponente, severa:
La guida ci dice che è stata restaurata da poco con il contributo economico importante di Estee Lauder. Il parco antistante è dedicato al padre del Sionismo
E questo, unitamente allo sfarzo dell’edificio, contribuisce a far stridere dentro di me il contrasto tra la Memoria dell’Olocausto e il dimenticabile presente Israeliano. Ma va così: le cose importanti traggono spesso la loro forza dall’incertezza del confine tra ciò che riteniamo bello e ciò che vediamo brutto. Tornando a questioni più segnatamente turistiche, l’interno della Sinagoga ha due pulpiti e l’Arca dell’alleanza (dove il cattolico medio si aspetta l’altare maggiore), più una serie di lampadari davvero molto belli:
Usciamo (la kippah mi scivola dal cranio grosso e pelato un paio di volte, con grande disappunto di Yaveh), e guadagniamo l’ingresso al cortile laterale, dove riposano alcune delle centinaia di migliaia di vittime (quelle cui si è riuscito a dare un nome) della Shoah Ungherese.
Le Croci Frecciate sono state tra le forze fasciste peggiori, e questo rende la presenza di Orbán in Europa ancora più inquietante.
Arriviamo infine al cortile retrostante l’edificio, che ospita quello che ritengo essere forse il monumento più bello sull’Olocausto che abbia mai visto: un salice piangente, sulle cui foglie sono incisi i nomi delle vittime:
Scossi, usciamo dal tempio, e cominciamo a girare per le vie del Ghetto. Una delle prime cose che salta agli occhi è che le vie sono piuttosto ariose, e i palazzi – antichi – non mostrano i segni asfittici della prigionia. L’architettura racconta condizioni di vita migliori rispetto a quelle Romane o Veneziane, nonostante la storia ci consegni rapporti su Pogrom molto più violenti qui che non in Italia. Sta di fatto, che il Ghetto è una ficata, e regala perle niente male:
Proseguiamo col naso all’insù, e incontriamo una seconda Sinagoga, quella ortodossa:
che, come si vede, non riusciamo a fotografare per intero a causa della strada troppo stretta. A un certo punto, sulla destra, un miraggio. Una visione:
un mercatino domenicale coperto con antiquari, gioiellieri, venditori di ogni genere in una galleria enorme, con un sacco di ristorantini. Ci si trova di tutto, dal bottone a…
Vedo anche un mio vecchio pallino, pure se non riesco ad immaginare come possa portarlo con me:
(visto che è a grandezza quasi naturale). Adocchio un orologio automatico Sovietico, e mi ripropongo di venirlo a prendere domani (ora non ho contanti con me, e la carta di Moneti non funziona al prelievo). Moneti trova un paio di occhiali che sono la fine del mondo, ma purtroppo sono un pochino lenti di stanghetta:
Dopo un rapido spuntino orientale, bòno ed economico
Decidiamo di fare una capatina alla sala concerti Béla Bartók, e goderci un po’ di Sinfonica. Camminiamo lungo Andrássy Utca, e poi proseguiamo verso il Danubio. Incontriamo lo splendido Museo Nazionale
Alla fine ci ritroviamo di fronte il nostro ponte preferito, e decidiamo di adolescenzizzarci con gragnuole di selfies:
“Visto che siamo dietro casa, facciamo una pausa pipì, vediamo su Internet luogo e ora del concerto e usciamo al volo”
Sensato, maturo, intelligente. Peccato che:
– Il concerto era una pomeridiana;
– Sfilandomi una scarpa, mi sfondo una suola, e quindi sono costretto a rimanere a casa: domani dovrò andare al mercato per prenderne un paio di nuove.
Ci avevate lasciato davanti al Diario di Bridget Jones;
Ecco, se permettete, andiamo a finirlo di vedere.
A domani
G&E
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