Oggi c’è la finale di Coppa Italia, e io sono qui, a Morlupo, cercando di tirare le somme degli ultimi anni di vita. Ci sono i soldi, che mancano sempre, e si affacciano i rimpianti di chi ha sacrificato la costruzione di una maturità sull’altare di una libertà di pensiero, che ogni giorno che passa assomiglia sempre più ad una catena, e pure corta. C’è l’orizzonte sentimentale, ballerino, scontento, frustrato nelle sue aspirazioni, più che legittime. C’è una solitudine non sempre disperata, ma pericolosa nei suoi aspetti più “addictive”. C’è il mio libro, figlio di carta non particolarmente amato, ma di cui vado comunque fiero. La finale, dice. Mi immagino Fabiano Borghese, laziale vero, che si prepara per lo stadio con quattro o cinque amici suoi. Mi immagino Martino Onorato (non quello vero, il *mio* Martino Onorato, che condivide con quello in carne e ossa un discutibile amore per dei colori sbagliati) guardare la partita accucciato su un trespolo, nella segreta speranza che lo stadio Olimpico si apra, inghiottendo Juventini e Laziali in un colpo solo. Mi immagino tutti loro, proprio nel giorno in cui scoppia mediatamente l’operazione Dirty Soccer, che certifica il vomitevole giro di soldi che si è magnato lo sport a tutti i livelli. Vedere i video delle partite acchittate, uno di fila all’altro, su gazzetta.it, fa perdere la voglia di tifare. Poi, però, realizzi che il calcio è una parte infinitesimale della vita del tifoso: che se domani smettesse di esistere, e qualcuno cominciasse a giocare a cricket, o a basket, o baseball o a curling o a quello che vi pare, indossando una maglietta biancoceleste con l’aquila sul petto, qualcuno comincerebbe subito a documentarsi sulle regole del gioco, e comincerebbe a seguire la squadra. Perché il tifo, oltre che una malattia che fa perdere i capelli, è anche un complicato intrico di passioni, appartenenze, antagonismi e chi più ne ha più ne metta.
Quindi, in alto i cuori e fuori la voce. Stasera gioca la Lazietta nostra, e se pure dovesse perdere, noi saremo contenti lo stesso, perché avremo marcato una testimonianza di presenza. Noi, più ingenui del meraviglioso Guidone nostro….
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