“Pronto, buongiorno è la sveglia, ma di muoversi manca la voglia…”
Espletiamo diligentemente i nostri compiti, lasciando la casa in condizioni tutto sommato dignitose. Il Taxi ci aspetta sotto casa, e con i due minuti canonici di ritardo, scendiamo e ci montiamo su. Moneti è nevrastenica: ha sonno e non è andata al bagno. Inneschi di una potenziale guerra termonucleare. Arriviamo all’aeroporto, imbarco la valigia e prendiamo un caffè, che ci mette di un umore migliore: stiamo al tavolino, chiacchieriamo, ci coordiniamo con Tanja perché ci venga a prendere canidimunita, perdiamo tempo su Facebook… Già, perdiamo tempo…
Alle 10:00 realizziamo che FORSE è un po’ tardi. Ci cataminano verso gli imbarchi. Tra file con vecchie rincoglionite e uno zelante poliziotto che mi rivolta come un calzino, riusciamo a passare il controllo per le 10:10. L’imbarco è al gate 19 (il più lontano) e Giacinto ed Erminia si trasformano in Pietro (Mennea) e Fiona (May); corriamo come forsennati, e arriviamo all’imbarco inciampando nelle nostre lingue. Mosso a compassione, il giovane steward chiama (ridendo) all’imbarco, da il ricevitore a Fiona, la quale ansima i nostri nomi. È ok. Ora basta correre per un altro chilometro alla volta dell’aereo, e forse non rimarremo sulla pista. Intanto gli Scaldaferri senior chiamano per le pillole. Continuiamo a correre, polverizzando record e calorie, e raggiungiamo l’aereo, con la gola inaridita e sudati come due Kebab. Qui una hostess ci dice che i posti bestiame sono in coda, e non riusciamo nemmeno a trovarne due vicini. Ma va bene, stiamo dentro! Una volta decollato l’aereo (che meriterebbe un articolo a parte, dato che la fase di decollo sembra quella di un F16), un “Godetevi Alicante” detto all’altoparlante mi gela il sangue nelle vene, anche se – devo dirlo – mi farebbe ridere non poco: prendere un aereo per un altro non è impresa da tutti. Chiedo ad una coppia di russi la destinazione dell’aereo: la donna mi risponde “Roma” con uno sprezzante sopracciglio alzato. L’uomo se la ride alle mie spalle, e ci dice “Tokyo”. Moneti apprezza la battuta con sollievo, e io vado a cercare il passaporto, che nella foga non riuscivo a trovare (fortuna non mi è stato chiesto in quelle fasi concitate).
Qui, l’orrenda scoperta che mi impedisce di gioire appieno per l’aereo non perso: non trovo il passaporto, forse è andato perduto durante la corsa. L’importante è essere rimasti vivi, raggiungere casa e cani, non aver perso l’aereo. Uscirne immuni, forse, sarebbe stato troppo!
P.s: pure sull’atterraggio, romanzo a parte: il comandante del volo era Lancillotto 008, senza ombra di dubbio!
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