Ovvero, se in Turchia nun te fai il bagno turco, te rifai in Ungheria.
Ci svegliamo dopo una notte di sogni agitati in ungherese. Per questo motivo indugiamo un pò sotto le pezze – stiamo sempre in vacanza, Christ! – per poi uscire in cerca delle scarpe. Camminiamo sciabattando verso il mercato, ma qui non troviamo nemmeno un negozio che venda un paio di spadrillas, per cui muoviamo verso Vaci Utca. Qui, in un negozietto con gigantografia di Firenze alla parete, acquisto un paio di scarpe italiane belle e comode, che mi costano (in realtà la carta è quella di Moneti) quasi una piottata di euri. Siamo stati convinti dalla suola Vibram, quella delle mie scarpe a forma di piede.
Una volta risolto il problema (“Basta ‘a salute e ‘n’par de scarpe nòve…”), ci fermiamo su una panchina a disintegrare i panini con frittata agli asparagi fatti da Moneti – me pare de stà al Flaminio, Lazio-Cavese, 1982; intanto programmiamo il resto della giornata. Finiti i panini, prendiamo un dolcetto e un caffè in un bar davanti al ponte delle catene, poi ci catapultiamo verso Buda. Per la prima volta, passeremo il Danubio!
Alla fine del ponte, una pratica Funicolare ci porterà in vetta, per la modica cifra di lasciamo perdere; però vale la pena, dato che siamo turisti:
Alla fine del tragitto, breve e panoramico, ci troviamo in un’ampia e asburgica piazza, piena di statue e strane ed inquietanti declinazioni di Revanscismo e irredentismo in paprika forte:
Ci godiamo un cambio della guardia, cerimonioso e quasi sovietico, e poi cominciamo a bighellonare in pieno stile G&E; ogni tanto sfogliamo pigramente la Lonely Planet, ma fondamentalmente ci succhiamo l’aria del luogo, che è indubbiamente magniloquente, anche se racconta di una storia breve e alla disperata ricerca di fondamenta civili: tutto quello antecedente al settecento, qui, è ridotto in rovina, per lo più a causa dei Turchi. Nulla ha resistito al tempo, se non uno spirito di nazione che si può vedere ovunque. E Orban ha vinto qui. Brrr.
La chiesa di Mattia Corvino, il cui pinnacolo non entra nell’obbiettivo dell’iphone:
Bella, ma ottocentesca;
Lo splendido camminamento dei muraglioni della cittadella, in cui è stato ricavato un bar dove Moneti e io ci facciamo spennare acquistando un CD auto prodotto dei musicisti che vi si esibiscono (e ci dedicano “o sole mio”, venendo al tavolo, tipo Fantozzi) e una coca cola sgasata e un Irish Coffee alla modica cifra di 13 euri:
Una volta privati delle nostre piume, decidiamo di dirigerci verso i bagni Gellert. Sempre a Buda stanno! Ora, Trastevere e Montesacro sono entrambi sulla stessa sponda del Tevere, ciò non significa che siano raggiungibili a piedi in tre minuti. Questa cosa sfugge inspiegabilmente a G&E, i quali si avventurano a pedagna alla volta di una collina che dista – più o meno – tre chilometri, più i rispettivi dislivelli. Roba da Triathlon. Sbagliamo strada tre volte, ma sempre percorrendo strade molto belle e incontrando cose che catturano la nostra attenzione, come ad esempio il palazzo dell’archivio storico:
Un viale alberato degno di un anime:
e via dicendo.
Dopo un secondo cambio della guardia, incontriamo una vecchietta barboncinodotata, che ci dice la parola magica: 86! È l’autobus che dobbiamo prendere a valle, alla volta della collina adiacente, alla base della quale sono le terme. Dopo dieci fermate, arriviamo finalmente al palazzo delle terme. A noi!
Fa un caldo becco, dentro. Le terme sono comuni, quindi possiamo farci il bagno insieme (la Lonely diceva che erano separate) paghiamo nel grande atrio, e ci vengono dati dei bracciali che serviranno ad orientarci verso gli armadietti, nonché ad aprirli e chiuderli. Il tragitto verso gli spogliatoi (con una divisione di genere molto allegra, visto che io imbocco in quello femminile, subito seguito da un inserviente (senza apostrofo). Una volta indossato il costume, ci ricongiungiamo, e andiamo verso le piscine:
Entriamo in una sala molto grande, dove c’è una piscina in stile déco, sormontata da una cupola di mosaico e da una vetrata colorata. Solo che l’acqua è a temperatura ambiente. Indugiamo una decina di minuti, incerti sul da farsi, prima di realizzare – grazie al compassionevole soccorso di un inserviente – che QUELLA è la piscina da nuoto, mentre le vasche di acqua termale sono appizzate ai lati. Riusciamo ad arrivarci, e qui parte il godimento: 40 gradi, acqua gelata, bagno turco, acqua gelata, 40 gradi… Così fino a chiusura. I capillari e il sistema arterioso ringraziano sentitamente, e noi usciamo dalle terme con una *lievissima* stanchezza. Prendiamo l’autobus del ritorno con gli occhi che si incrociano, e decidiamo di andare in un ristorante vicino casa. La parallela della nostra via è Radáy Utca, ed è piena di ristorantini. Decidiamo di andare in un persiano (che gode di buona stampa sulla LP):
Ed ecco come arriviamo sul posto:
C’è da dire che mangiamo benissimo (antipasti i a base di Humus, polpettone Kofta, pite, salsette allo yogurt, aglio e di altre varietà, e un piatto di riso e manzo, che mangiamo in due, il tutto irrorato da due birre alla spina. Il tutto per un costo tutto sommato conveniente. Credo. Eravamo troppo sfratti per capirlo.
Arriviamo stremati e felici a casetta, e qui, dopo la liturgica zinnata all’Unicum, sprofondiamo nel sonno migliore che si possa immaginare. A parte la chiamata di mia madre, che però rimane confinata nei ricordi sbiaditi di un dormiveglia rilassantissimo.
A domani!
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