Oggi è sabato. Mi sono svegliato a Padova, abbracciato a Liz, in un letto comodissimo e con il diluvio fuori.

È cominciato il viaggio pratico, dopo quello mentale.  Ma andiamo con ordine.

Come detto nel capitolo precedente, ho realizzato che la moto non sarebbe mai stata pronta il giovedì, e avevo lasciato Michele e Davide bestemmianti mentre sfrullinavano la catena.

Delle disquisizioni, conti, botte e risposte si è già detto: 400 euro supplementari, ma almeno la moto sembra andare bene. Solo più tardi sentirò un clangore sull’avantreno, e realizzerò che una delle lampade del cruscotto non funzionano. Non la prenderò benissimo.

Ma cerchiamo sempre di andare con ordine.

Mia madre è fuori dalla grazia di Dio. Mi chiama duecento volte per dirmi che è tardi, mentre io sto cercando (inutilmente) di far notare a Michele che sì, avrà avuto spese impreviste, ma delle cose che avevo chiesto molte non le ha montate. Che il mio preventivo aveva dei prezzi che lui sono raddoppiati. Insomma, ho il mio da fare, anche senza il carico d’ansia dell’anziana genitrice. Ma di questo si è già detto.

Arrivo finalmente a casa, e carico le valigie. La riparazione della sella (le staffette per bloccarla) ha già ceduto, e infilarla è un problema. Altre bestemmie, tra l’ilarità generale della famiglia, che – passata l’ansia della vigilia – approccia al fatto con grande tranquillità. Come da manuale.

Sono le due passate. Il navigatore mi consiglia di prendere l’autostrada a Fiano, ma io decido di scaldare le gomme sulla Flaminia, dove faccio le prime 20€ di carburante, fino ad arrendermi a Magliano Sabina. Di lì, Firenze-Bologna-Padova. Garuda va; il beccheggio dell’avantreno dopo i 120 non si avverte, e la guida restituisce una sensazione di piacevole tranquillità. Passo Firenze,  dove metto le seconde 20€. A Roncobilaccio vedo una macchina parcheggiata lungo la carreggiata, con portellone aperto e agenti della scientifica in tuta bianca a fare rilievi. Un momento di senso pratico nella folta selva di pensieri teoretici che affollano la mia testa. E giù, altri 20€ di benzina.

La schiena è indolenzita, ma tiene. Il collo invece è un po’ incriccato nonostante il provvidenziale scalda collo datomi in extremis dalla sorella. Unica di fatto è di diritto. L’autostrada è una palla mostruosa , ma i pensieri (di natura varia) sgorgano che è un piacere. Rifletto sulla distanza siderale nella telefonata tra me e Moneti, sul fatto che ho dormito con le Otte solo una volta, che la mia moto è un ritorno a dieci anni fa. A prima del mio primo tentativo di famiglia. Mi lacrimano gli occhi (sarà uno spiffero nel casco?) ma sono pervaso da una strana, quasi preoccupante serenità d’animo. Non mi proietto nemmeno nel futuro immediato – tipo l’ufficio, o altre amenità Brnesi. La moto offre questo: un bagno di realtà, fatto di pioggia a fronte del sogno primaverile, ma anche un focus molto stretto sulla dimensione del presente. In moto c’è la strada, con tutto quello che ne deriva in termini di significato e di simbolo. Tengo una media di 130, con punte di 160, e lunghi tratti a 140. Garuda risponde, ma quando rallento la moto ballonzola. Impreco contro il morto del giorno (è Venerdi Santo), e noto che la pasticca è molto lasca nell’alloggiamento della pinza. Che cazzo hanno combinato, quei due? Possibile mai che non ci si possa fidare MAI, nella vita? continuo il viaggio (di certo non posso mettermi a cercare un meccanico al Mugello alle cinque del pomeriggio del venerdì di Pasqua), conscio che Garuda a casa mi ci porta sempre, pure zoppa. Oppure che – qualora morissi – quei due mi avrebbero sula coscienza. Magra consolazione, ma ci accontentiamo di poco. Sul viaggio, poco da dire. A parte dopo Firenze (il Mugello, appunto), la strada è di una monotonia mortale. E la moto beve  come un marinaio in rada. Entro nella Pianura Padana, e un rigurgito razzista si impadronisce di me. Da Ferrara in avanti è solo puzza. Capisco come mai da ‘ste parti votano la Lega: il traffico di Roma, in confronto ai miasmi in cui quei poveracci vivono, è una passeggiata per boschi. A Rovigo vengo assalito da sensazioni contrastanti, che compongono uno scenario fatto di parodie di Crozza, reminiscenze di Jerry Calà con un sottofondo di altissima pornografia. Purtroppo è tardi. Sennò andrei a caccia di casalinghe inquiete, con fare da Vendicatore Indo-Romano. Sarà per la prossima, ma anche no. Arrivo a destinazione verso le 19:30, con il buio appena calato, e una sensazione di approdo difficile da spiegare. Ho le ragnatele alle mani, le ossa che vibrano come un Diapason e un desiderio compulsivo di lavarmi e nutrirmi.

A Padova mi aspettano Paolo, Giulia, Adone, Liz e Grazia. Trattasi di coppia di amici, un gatto, una cana e una cornacchia domestica (la prima che abbia mai visto in vita mia). L’accoglienza è meravigliosa: cenetta con verdure dell’orto innaffiate da un paio di birrette, una doccia che sa di resurrezione, belle chiacchiere (Paolo garantisce sempre l’altezza della discussione e Giulia è una bella sorpresa).

Sullo sfondo, di una casa con un’aria di altri tempi, una bellissima sensazione di vitalità, con gatti che giocano con cornacchie, cani che socializzano e umani che fraternizzano. Sembra di essere in un luogo a metà tra l’arca di Noè e una comune del 77.


Dormo con Liz, una bellissima beagle che pone il suo muso sul mio petto, e torno alla prima riga di questo post. Domani mi aspetta Tarvisio, e Chicca, che non vedo da vent’anni. Cristo, come sono vecchio. E ancora faccio cazzate di questo genere. Avanti.