Volevo scrivere un triste post sulla partita di ieri, quattro pappine rifilate in casa dai gobbi, e mezza tifoseria ancora a scrivere di coppe in faccia. Anche basta.
In realtà, mi piace qui mettere nero su bianco una piccola riflessione sulla questione egiziana. Anzi, una serie di piccole riflessioni, in ordine sparso.
Primo. Nessuno ha parlato, mi pare, del grado di integrazione dell’antica comunità egiziana; mi ha colpito la proprietà di linguaggio di alcuni intervistati, e il grado di civiltà con cui hanno manifestato qui da noi.
Secondo. Non sono particolarmente d’accordo con chi di loro afferma che la questione sia riferibile ad un problema di ordine interno. Purtroppo per loro Israele esiste, e la fragile pace di Camp David del 79′ è fondamentale per tutta l’area. E qui si arriva al punto
Terzo. È ovvio che non condivido l’equazione mediatica Fratelli Musulmani=Terroristi; è fuorviante e offre il fianco a facili contestazioni. Quello che deve preoccupare – e tanto – è la deriva confessionale di uno stato laico. Mubarak, il bistrattato Mubarak, fu presidente assolutista, ma oltre al ruolo centrale avuto nel processo di Pace in Medio Oriente degli anni 90′, dove ancora si vedeva qualche speranza diplomatica, a lui va ascritto il merito di aver tenuto l’Egitto in una condizione di laicità di ordinamento. Non è poco. Ora il problema, annoso, è quello della tenuta del l’istituzione democratica, anelata dai giovani della primavera araba. La domanda è:
“È giusto tutelare i meccanismi democratici quando questi mettono a repentaglio l’intero ordinamento?” Al netto delle considerazioni Geopolitiche, se l’Egitto dovesse diventare una teocrazia, si potrebbero dare le aspettative dei giovani di piazza Tahrir come realizzate?
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