Le elezioni di quest’oggi (gli spogli non sono terminati, ma i risultati possono ritenersi definitivi) regalano una serie di riflessioni su cui vale la pena di soffermarsi. Da un lato il crollo di Forza Italia ci racconta della volontà dell’elettorato non di cambiare aria, ma di mettere in discussione la leadership incontrastata del cavaliere. Con FI ridotta al 21%, Follini (!) e la Lega che sono cresciuti notevolmente e AN che risulta essere stabile al 11% circa, tra le poche forze principali a non aver avuto un calo, l’agenda del presidente del consiglio dovrà essere certo modificata. Le riforme in senso federalistico dovranno essere cconiugate con quelle che il centro richiederà, per onorare la sua base di consenso. Insomma, Fini, Follini e Maroni tengono Berlusconi per le palle. Certo, appare chiaro che la legislatura finirà senza andare ad elezioni anticipate, poiché gli scombussolamenti elettorali previsti si sono verificati all’interno degli assetti dei due schieramenti, non con travasi di voti da una parte all’altra. Per la sinistra il discorso cambia. A mio parere, non si può parlare di débacle. Certo, la scelta della frammentazione elettorale per una politica unitaria portata avanti per queste europee è un po’ da tarare, ma sembra essere una scelta sensata. L’Ulivo ottiene un 31% che non può essere considerato soddisfacente, ma la pluralità delle voci a sinistra, considerata oramai come una linea politica definita, contiene il 2,3% di Di Pietro e Occhetto, il 2,3 dei Comunisti Italiani, l’apporto dei Verdi, Marini e Mastella, nonché quel 6% di Rifondazione, che – oggettivamente – tiene anch’essa Fassino, Rutelli e Boselli per le palle. Ora, al di là di analogie da caserma, si vede che la situazione è diversissima, ma la tendenza è sempre quella. I due schieramenti sono solidi per elettorato; non credo che chi ha votato Pancho Pardi abbia sostanziali riserve nei confronti di un Diliberto, così come chi ha dato il voto a Berlusconi possa nutrire dubbi sull’affidabilità di Fini. Il problema sarà la coesistenza tra UDC, AN e una lega al 4,5%; sarà l’effettiva coesione dell’ala ulivista ex-DC con Rifondazione, che ha un tale Nunzio d’Erme nelle sue fila, difficilmente digeribile da un Mastelliano. Insomma, niente di nuovo sotto il sole. Quello che è risultato da questo turno elettorale (aspettando le amministrative) è che si rinsaldano solo le pregresse difficoltà di fusione. Esce una nuova vittoria del proporzionale all’Italiana, che riesce a mettere sotto la stessa solida maggiornaza di governo un partito Secessionista ed uno nazionalista mentre, dall’altra parte, comunisti e democristiani costituiscono il nerbo dell’opposizione. Altro che svolta di Salerno, o il compromesso storico di Berlinguer.Queste sono cose dell’altro mondo. Totò e Peppino, intanto, guardano dall’alto e sorridono benevolmente. L’Italia, penseranno,non cambierà mai.
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