In una vecchia, geniale storia di Martin Mystère, Alfredo Castelli immaginava l’esistenza di un siero che, iniettato, faceva vivere a velocità moltiplicata, i modo tale da fare sì che se per il proprio orologio interno fossero passati 3 giorni, per il mondo esterno ne fosse trascorso solo uno.
È una delle mi storie preferite, e ha un tributo di ispirazione ad un vecchio episodio di Star Trek, dove esisteva una razza aliena accellerata a punto tale da essere invisibile ad occhio umano.
La scorsa settimana, in sezione, è stata una giornata molto densa. C’è il congresso in vista, e si è discusso il documento programmatico. C’era da eleggere il nuovo coordinatore, dopo Mauro, che ha retto la sede per dodici anni. C’era da capire quale fosse la strategia per le prossime europee (col PD? Senza il PD?)
E c’era da promuovere un ritorno all’antico, separando il coordinamento metropolitano di nuovo tra cittadino e provinciale.
La sezione di SEL di Roma I (via Giannone) è molto viva. C’è viva partecipazione, e una grande capacità d’ascolto. E così è e sarà. Ma il problema fondamentale, al momento, è uno: manca l’educazione al movimentiamo vero. Noi ci si confronta tra di noi, le istanze del territorio sono in mano ai Grillini. Noi ci si conta e ci si incontra, ma sul territorio parliamo a titolo personale, perché è davvero difficile che ci sia una linea comune. Da un lato vengono prese decisioni bulgare, per un mero fatto pratico, ma dall’altro, quello della base, c’è un tale rispetto dell’alterità interna che spesso si cade nel fricchettonismo, cioè nella difficoltà a produrre una linea comune che sia a fuoco sul problema, in anticipo sui tempi e dettagliata nella produzione di ipotesi risolutorie.
Più vicino alla catena di comando reale arrivi, più ti rendi conto che il tecnicismo parlamentare e amministrativo sostituisce la visione politica. L’affare Vendola ne è una chiara dimostrazione: criticatissimo per la sua contiguità con Archinà – e quindi con gli interessi della famiglia Riva – ha argomentato con la difesa dei posti di lavoro. Il ché ci può anche stare, dato il ruolo, ma apre un vulnus nella tenuta delle istituzioni, quando cedono la loro terzietà e “lontananza” dal singolo caso in favore di una umanizzazione privatistica, comprensibile ma cancerosa. Vero, il sistema attuale ragiona così, ma allo stesso tempo concorre a farci percepire come parte integrante di una modalità che in realtà non ci appartiene affatto, e che sosteniamo proprio per la sua alterata; come dire, non rubiamo ma veniamo messi insieme ai ladri, perché “so’ amici nostri”. L’appiattimento sulle posizioni del PD ci ha fatto solo male. A parte l’incremento di tesseramenti dovuto all’avvicinarsi del congresso, siamo in costante perdita di consenso. Noi ne perdiamo, Grillo e l’astensione ne guadagnano.
Una scelta di coerenza e di affermazione dell’identità collettiva, con il rischio di fare la fine di Ingroia. Questa è la strada. Il paese ha bisogno di una sinistra ricostruita, un maledetto bisogno; ma non è con i calcoli elettorali che riusciremo nell’intento. Solo attraverso l’effettiva canalizzazione dei problemi del territorio (ecologia, lavoro, debiti, costruzione della coesione) riusciremo a scollinare questa desertificazione politica e valoriale, no attraverso calcoli tecnici.
La storia di Martin Mystère partiva dalla necessità di guadagnare tempo. La scorciatoia (il siero) finiva per mandare in autocombustione chi lo utilizzava.
Cioè a dire: il tempo non si regala, le decisioni necessitano un processo lungo e definito, e le scorciatoie tecnocratiche bruciano. Hai capito, la metafora?
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