Oggi parliamo di:
Matteo Miavaldi, Un’altra Idea dell’India, Torino, Add Editore, 2025, 283 pagine

L’Autore

Matteo Miavaldi è un vigevanese trasteverino (pare un ossimoro ma non lo è)  prestato all’Asia. Scrive di India da più o meno quindici anni. Ha vissuto le gioie di Shantiniketan, e i dolcissimi dolori di New Delhi ed è ad oggi una delle voci giornalistiche italofone più attendibili sulle dinamiche del subcontinente. Ha studiato Lingue e civiltà Orientali alla Sapienza (dove siamo entrati in contatto e più o meno in confidenza una quindicina di anni fa). Ha scritto un Instant Book nel 2013 sulla vicenda dei due Marò (I due Marò, tutto quello che non vi hanno detto, Roma, Alegre Edizioni, 2013) e collabora abitualmente con Il Manifesto, oltre che a curare la rubrica Elefanti a Parte su China Files ed essere stato coautore del Podcast Altri Orienti con Simone Pieranni.

L’Oggetto Libro

Cominciamo dall’oggetto: il libro è stampato su una bella carta, porosa e piacevole al tatto, certificata FSC. È un Paperback, e la copertina è di Lucrezia Viperina. È una copertina molto bella graficamente, ed oltre ad essere un disegno originale ha l’indubbio merito – sempre più raro – di avere un ruolo narrativo: Il titolo del libro è inserito per verticale e la divide in due parti: la sinistra che rappresenta l’idea dell’India “mondana”, con armi, una centrale nucleare, una spada e quello che a tutta prima sembrerebbe un Modi stilizzato; la destra è invece decorata con un Ganesh che brandisce uno scettro, sovrastato da un cielo stellato e dominata da un color ocra/oro. Una vera e propria antinomia che è dichiaratamente al centro del libro.

Nella quarta di copertina, infatti, due recensioni fanno da lancio all’intento dell’opera: “rinfrescare” la narrativa sull’India che in qualche modo gli occidentali hanno introiettato, per aggiornarla alle nuove istanze della realtà odierna con alcuni dei passaggi che hanno caratterizzato gli ultimi trent’anni.

L’Oggetto Libro, insomma, è molto chiaro nei suoi intenti sin dalla sua primissima esteriorità, e il suo messaggio mi piace sintetizzarlo coì:

Bello Gandhi, belli i Beatles, belli l’elefanti, bella la spiritualità. Bene. Mo’ potémo annà avanti.

Panoramica

In genere, quando si cerca una bibliografia di riferimento sull’India da profani, le prime cose che si notano sono in genere due: molti libri sono un bel po’ datati, e la tipologia oscilla in genere tra il testo super specializzato o il romanzo di ambientazione. Alle volte, e in Italia è un classico, ci si imbatte in qualche Diario di Viaggio, tipo quello di Moravia o di Pasolini, che però sono testi degli anni sessanta, e guarda un po’ il caso, sono anche trattati nelle prime pagine del lavoro.

Il testo di Miavaldi non è propriamente incasellabile in nessuna di queste categorie: è una testimonianza personale della propria esperienza (giornalistica ma non solo) di India, ma non è in questo senso verticale come un’opera di Terzani; è un testo che ha ben presente la realtà antropologica e storica che descrive, ma non ha quella necessaria puntigliosità di un testo specialistico o accademico che potrebbe renderlo poco digeribile al semplice interessato occasionale; sono pagine che si sforzano di decodificare una realtà politica e sociale che da sempre sfugge da tutte le parti, ma lo fa senza quel poderoso apparato di fonti, tabelle e dati che potrebbero rendere la lettura pesante all’occasionale di cui sopra.

Il risultato è un agile vademecum di una Shining India intelligentemente dissezionata. Un testo fatto di dati presentati in maniera giornalistica ma animati qua e là di piccoli e divertenti biografismi che aiutano a far calare il lettore nell’atmosfera indiana; di elementi di cultura locale accennati con esattezza, senza eccedere nell’approfondimento ma fornendo al contempo tutte le coordinate necessarie a chi volesse saperne di più. Il tutto con degli accenni di racconto quasi turistico, più da Routard che da Lonely Planet, che appaiono qua e là.

La domanda che mi sono posto – da studioso della materia ma soprattutto da PIO (che in Hindish sta per Person of Indian Origin):

Il libro mantiene quello che promette?

Il lavoro si propone di abbattere molti dei luoghi comuni che abitano il nostro immaginario quando pensiamo all’India, oramai piuttosto datati e non più conformi alle nuova sensibilità emerse con la Globalizzazione in atto da almeno quarant’anni. Miavaldi vuole veicolare in effetti “Un’altra Idea dell’India”, già nota agli specialisti, che si è andata formando a partire dagli anni novanta e che si è via via consolidata con il procedere del tempo. Si può dire che questo libro sia una ricalibrazione dell’idea dell’India così come noi occidentali l’abbiamo interiorizzata, ridefinita intorno all’Hinduttva, cioè quell’ideologia politica incardinata nei valori religiosi Hindu, di cui l’autore fornisce un sufficientemente esaustivo quadro storico, sociale e concettuale. l’Hinduttva è al centro di un contesto essenziale per comprendere la Nuova India, e  la sua comprensione è necessaria a ricollocare l’India nell’assetto globale contemporaneo. L’India non vuole, e forse non può più essere posta in una dimensione spirituale, quasi distaccata dall’orizzonte del sensibile. Deve appropriarsi di quel protagonismo che un po’ è costretta ad avere, viste le sue dimensioni e la sua posizione geopolitica, e un po’ è agognato dalla sua attuale classe dirigente, ansiosa di trasformare l’Indianità in senso più assertivo.

A un certo punto, però, l’India interviene nelle aspirazioni dei suoi governanti con il suo portato di violento realismo, e ci si rende conto che un paese così enorme e così variegato non può essere governato con il pugno di ferro. Che un miliardo e mezzo di persone, afferenti a culture, lingue, tradizioni, religioni, etnie diverse che da sempre convivono negli stessi spazi (seppur sgangheratamente)  non può aderire ad un’ideologia supremasista come quella dell’Hinduttva, e che il Paese Reale, alla fine, è meno manipolabile dalla tecnologia di quanto auspicavano gli Spin Doctors e i creatori delle varie “Bestie” al servizio della propaganda governativa.

Questo non vuol dire che i tentativi di riscrittura del DNA indiano siano destinati a cessare, anzi: seppure con numeri molto inferiori a quanto auspicato dalla sua dirigenza, il BJP – il partito al potere ininterrottamente dal 2014 e principale vettore dell’ideologia dell’Hinduttva – governerà il paese in uno dei momenti geopoliticamente più critici della storia recente.

Tuttavia, proprio in ragione delle sue molteplici facce, l’India è riuscita a costruire un’opposizione diversificata e agguerrita, che nell’ultima tornata elettorale ha avuto anche una sua rappresentanza istituzionale, ma che soprattutto si è formata nei Sindacati, nelle Università, nell’associazionismo, cui è dedicato un capitolo del volume, Isole di Resistenza, che delinea un profilo dei diversi movimenti che nel tempo hanno discusso la narrativa dei partiti di Governo; un ruolo di primo piano ha ovviamente la comunità Mussulmana, la minoranza più cospicua del mondo, ma c’è spazio per una riflessione sulla condizione femminile, sulla percezione della diversity, e sulle lotte sindacali, specie a seguito dei reiterati tentativi da parte del governo di liberalizzare le tariffe del mercato ortofrutticolo.

Insomma, lungi dal fornire chiavi di lettura univoche (che risulterebbero fatalmente mistificatorie), questo libro fornisce una disamina del processo di ricostruzione identitaria che l’India sta compiendo mentre affronta le sfide che comporta il suo affacciarsi nell’agone mondiale da protagonista, e lo fa in maniera tutto sommato onesta e comprensibile, introducendo anche qui da noi un dibattito che in India furoreggia dagli anni novanta, e che – forse – è meno distante dai nostri problemi di quello che pensiamo.

Quindi, per concludere la disamina: sì, il libro mantiene quello che promette. Disseziona l’idea stereotipata che l’India ha in Occidente, ricostruendone il percorso di affermazione e consolidamento dal XIX secolo agli anni settanta del XX e descrivendo il lavoro che le classi dirigenti indiane al governo stanno portando avanti (in India e fuori) per affermare un’idea diversa del Subcontinente, magari meno “romantica” ma di sicuro più calata nel suo ruolo di “aspirante SuperPotenza”. In buona sostanza, con questo lavoro, Matteo Miavaldi aggiorna il lettore italiano sullo stato dell’arte della Narrazione che l’India ha oggi di sé stessa.

Noi e Loro

Abbiamo visto come Un’altra Idea dell’India sia quindi strumentale e necessaria per definire il campo di azione indiano dei prossimi decenni. Come la transizione identitaria auspicata dal gruppo dirigente – dall’India Gandhiana non violenta, tollerante, osmotica e sincretica all’India dell’Hinduttva, pronta a fare la voce grossa per risolvere controversie – voglia porre il Subcontinente in una posizione egemonica, anche nei delicatissimi equilibri di potere dell’Asia Meridionale. In questo senso, negli auspici delle Democrazie Occidentali l’India dovrebbe svolgere la funzione di bastione anticinese. Le cose, però, non sono mai così immediate; figuriamoci in India. Il libro si sofferma anche su questi temi, sottolineando attraverso una disamina storico-politica sia i rapporti tra i diversi Stati nella zona, sia sulla tendenza indiana in politica estera, che, nonostante le velleità assertive, in questo ambito sembra essere abbastanza in linea con la sua visione tradizionale, sintetizzabile nella formula “Amici di tutti, Alleati di nessuno”. In questo equilibrio, ovviamente, il ruolo principale è giocato dall’Occidente, che mai come ora appare tremendamente in ritardo nella sua comprensione dell’India attuale. Nella sua senile rigidità, esso fatica ad abbandonare la sua tradizionale visione centrata su un’Egemonia dell’Uomo Bianco e a confrontarsi con le realtà emergenti con uno spirito squisitamente egalitario. Fatica moltissimo ad accettare che il posto delle potenze emergenti differisca da quello loro assegnato dal vecchio Colonizzatore. Soffre moltissimo nel vedere rifiutati i ruoli recitati fino a pochi anni fa dall’ormai ex “Terzo Mondo”, e quindi si industria a far combaciare il vecchio racconto con quello emergente, spesso con dei risultati al limite del mistificatorio.

In India le nuove classi dirigenti hanno sfruttato in maniera magistrale questa difficoltà: da un lato procedendo ad abbattere ciò che non coincideva con le esigenze di costruzione di una superpotenza, dall’altro sfruttando a proprio vantaggio la alcuni degli stereotipi che hanno costruito la fortuna dell’India nella narrativa occidentale da Kipling ai Beatles.

Miavaldi intercetta quest’operazione e ne fornisce una dettagliata ricostruzione: descrive la riduzione del mito di Gandhi ad una dimensione più storicistica, operata da anni in India da parte dei fautori dell’Hinduttva sempre con meno pudore; cita l’illuminazione di quegli aspetti del carattere del Mahatma più difficili da digerire tra cui la sua contraddittoria condotta privata in età avanzata e l’evidenziazione del suo ruolo come agente dell’Impero nel suo periodo Sudafricano. Un processo di revisione del passato che l’India di Modi sta diligentemente applicando per provare a delegittimare l’idea indiana tradizionale di sincretismo a favore di una nuova visione suprematista a trazione Hindu.

Dall’altra parte, nel descrivere l’abilità indiana nello sfruttare una certa visione romantica da parte dell’Occidente, l’autore racconta la costruzione narrativa dello Yoga e del suo utilizzo come mezzo di Soft Power, e di come la sua percezione sia stata sfruttata abilmente per veicolare l’Induismo-Hinduttva anche in zone del mondo con cui esso non ha alcuna familiarità.

Conclusioni

Come detto in apertura, il libro è diretto a chi voglia avere un’idea generale di una realtà estremamente complessa con un livello di approfondimento che si colloca tra la letteratura specializzata (che per i non addetti è pressoché illeggibile) e il racconto giornalistico (lacunoso per forza di cose e sempre estremamente dipendente dalla prospettiva di chi scrive). Il lettore troverà nelle 283 pagine del libro un racconto informato e piuttosto onesto di un giornalista che ha vissuto l’India con curiosità e rispetto per anni, e che per lavoro cerca di rendere informati coloro i quali vivono altrove e non hanno le risorse necessarie per comprendere appieno quella realtà – la lingua prima di tutto, ma anche la familiarità con una società molto diversa dalla nostra.

D’altra parte, allo specialista non potrà passare inosservato che – seppure nel massimo rispetto e con una conoscenza della materia di molto superiore a molti colleghi – il racconto sarà fatalmente viziato dalla condizione di uomo bianco e privilegiato che si confronta con una realtà molto diversa dal suo retroterra, e quindi in alcuni passi si ha quasi la sensazione che questa Altra Idea dell’India sia molto diversa dalla precedente, ma che alla fine ne segua lo stesso schema, e quindi sia a volte screziata di orientalismo. È tuttavia proprio lo stesso autore che ammette in qualche passo questo suo limite (*) (purtroppo invalicabile per il 99,99% delle persone), e questa sua onestà intellettuale, oltre a fargli onore, rende questo libro assolutamente consigliato.

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(*) Per dire, a pag. 113 scrive: “[…]Avevo bisogno di sentire che nonostante fossi bianco, ricco e privilegiato, vivere in una casa tradizionale, parlare meglio la lingua, condurre uno stile di vita più vicino a quello della maggiorare delle persone che incontravo al mercato o al chiosco del chai, mi avrebbe permesso di fare yoga senza sentirmi un impostore”.