Le valutavo la schiena, accarezzandola a partire dalle belle scapole, perfettamente simmetriche, scendendo giu, fino all’inarcamento naturale offerto dalla congiunzione tra la colonna e la zona sacrale. Ogni tanto mi soffermavo sui nei, costellazioni di stelle melaniniche su un cielo di pelle dal colore della nobiltà. Dormiva?
Non sembrava. Il respiro si faceva sempre più forte, e io chiudevo gli occhi mantenendo lo stesso scenario impresso sulla retina. Le gambe lunghe, affusolate, erano sostenute dalle sole calze autoreggenti, nere, antiche, eccitanti, sbarazzine, portate con la noncuranza di chi ha la classe innata nel sangue. Sangue. Molto sangue. Invade, scalda, sangue che sveglia Kundalini. E lei.
Apre gli occhi, due occhi grandi, dorati, che mi guardano sorridendo. La bacio, risponde ai miei baci, ha un buon odore e comincio a sfiorarla, mentre lei risponde alle mie carezze, e mi colma di un affetto eterno, immobile, sereno. Si gira, fa caldo, e il lenzuolo si disegna in veste avvolgendo i fianchi magri e uno dei seni piccoli ed efebici. L’altro è nella mia mano, lo contiene tutto, e sento la pelle d’oca trasmettersi alla mia schiena. Le accarezzo i capelli, richiudo gli occhi, li riapro, e lei è ancora lì, sotto di me. Sento che potrei impazzire. Nella mia testa si affollano visioni, particelle di futuro e di passato formano un magma essenziale, in cui l’azione e il pensiero sono una cosa sola. Cerco di formulare, di elaborare. Niente. I pensieri non diventano parole, ma baci, carezze, ritmo. Ne voglio ancora, è l’unica cosa spiegabile a parole che mi viene.
Com’è bella. La guardo, la riguardo. Valuto. Penso. Sogno.
L’ambiente intorno a me pulsa al ritmo del mio cuore impazzito, sento di poter colmare le distanze metafisiche, di cavalcare l’onda assassina di mille orgasmi come quello che mi ha appena schiantato il cuore.
-“Io ti ucciderò”, le diceva sempre sorridendo. Fu quello l’ultimo pensiero, mentre una lacrima di gioia scendeva dall’occhio destro – ancora sorridente – appeso al soffitto.
Non parlava mai, durante un amplesso. Sapeva che avrebbe potuto sempre essere l’ultimo.
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