Caro Santa Claus,

Non so se quest’anno io sia stato buono, oppure no. Potrei dirti di averci provato, ma un pizzico di coda di paglia ce l’avrei, a farlo. Non credo di aver fatto abbastanza. Sono stato invidioso, a volte. Altre volte sono stato egoista, quasi sempre ho ascoltato la voce della mia coscienza in maniera estetica, egoriferita.
Più passa il tempo, e più il mio senso del Natale si affievolisce. Anche se guardo spesso il cielo per vedere se per caso non passi una slitta volante, sento un magma viscido, tiepidino, tirare la mia mente giù, giù e ancora giù, tra le miserie -tutte le miserie – della gente, di tutta la gente. Quanto vorrei che in fondo al tuo sacco fosse rimasto quel po’ di buon senso, da regalare ai bambini e ai loro padri. Vorrei che la tua risata fragorosa risuonasse al posto delle bombe. Vorrei credere che la colazione (con bigliettino) che ti ha lasciato mia nipote, raggiungesse qualcuno che ha fame, anche se si tratta solo di due mandarini mosci e di un paio di biscotti. Vorrei, stanotte, prendere sonno pensando ad un signore bonario, imponente e vestito tutto di rosso. Lo penserei mentre si cala dalla cappa della mia cucina, per portarmi un po’ di felicità. Tornerei nel mondo dei miei giochi di bambino, dove non conoscevo solitudine o dolore. 
Santa Claus, per Natale vorrei tanto un po’ di torpore esistenziale. Me lo porti? 
Hagi