Fasi, affluenza e quadro uscito dalle urne

 

Si sono concluse le 7 fasi delle elezioni indiane del 2024. L’affluenza alle urne, sui 960 milioni e rotti di aventi diritto al voto, è stata intorno ai 640 milioni.
Molto probabilmente è rimasta relativamente bassa anche a causa dalle ondate di caldo che hanno toccato in India i 50° durante le fasi finali elettorali.
Si è votato per rinnovare la Lok Sabha – la camera bassa del Parlamento federale. Le cose sono andate in maniera piuttosto diversa rispetto alle aspettative del governo in carica. Infatti,  sin dal 2014, il BJP ha sempre guidato delle alleanze di centrodestra che, specialmente nella tornata del 2019, si erano rafforzate tanto dal fare presagire che le elezioni del 2024 avrebbero restituito praticamente un Parlamento monocolore, e in questa e in questa direzione si sono mossi gran parte dei sondaggisti in India, fallendo miseramente nei risultati, poiché i dati (che sono non sono ancora definitivi, ma sono una proiezione attendibile del rapporto di forze del Parlamento) ci dicono che la coalizione del BJP ha 292 seggi su una maggioranza fissata a 272. Le previsioni che auspicavano addirittura fino a 400 seggi per l’alleanza, sono andate deluse. Non solo per il fatto che il BJP non avrà la necessaria forza parlamentare per poter mettere mano alla Costituzione, ma anche perché gli spazi politici di manovra di Modi saranno molto più limitati. La sua maggioranza infatti ora dipende molto più dagli altri partiti su cui il BJP si appoggia. Nella fattispecie parliamo di quelli guidati da due personaggi: Il Telugu Desam Party di Chandrababu Naidu in Andhra Pradesh e il Janata Dal di Nitish Kumar in Bihar, che hanno innervato la l’alleanza ma che hanno delle richieste specifiche nei confronti del Parlamento di Delhi. Segnatamente lo Statuto speciale dell’Andhra Pradesh che lo stato rivendica sin da dopo la separazione dal Telangana nel 2014. Diverso il caso per Nitish Kumar, la cui estrazione ideologica socialista e abilità comunicative lo rendono candidato ideale al gioco del “salto della quaglia”, da una maggioranza all’altra.

Staremo a vedere che spazio di manovra avrà Modi, abituato ad andare per la sua strada a briglie sciolte, quando invece dovrà adire a più miti consigli con degli alleati che già partono con la fama di interlocutori piuttosto scomodi.
Al momento risultano consultazioni più febbrili del solito per formare il nuovo governo, la cui formazione era prevista per l’8 giugno ma che sembra già essere slittata.

Considerazioni

Ora, cosa è andato storto, dalla prospettiva di Modi? Mettiamola così: le aspettative erano quelle relative ad un consolidamento dei numeri. Beh, è andato storto che l’India ha fatto sentire la sua voce, e, per sua natura, l’India ridimensiona i “grandi piani” che si fanno sulla sua pelle. Parliamo di “India”, e non di “indiani”, perché è più facile parlare di un’unica entità che si esprime in maniera assolutamente insondabile alle previsioni, piuttosto che cercare una media aritmetica fra tutti i suoi abitanti che hanno delle diversità talmente incolmabili che rendono impossibile arrivare a un minimo denominatore comune. Quindi l’India ridimensiona. Ha ridimensionato a suo tempo Aurangzeb e i suoi deliri mistico religiosi di natura islamica, ha ridimensionato gli inglesi che sognavano un frutto molto diverso della loro dominazione rispetto a quello che poi effettivamente è stato, ha ridimensionato con la consolidatissima ricetta indiana tutti coloro i quali si sono rapportati a lei: indianizzare tutto, cioè recepire, digerire, comprendere e restituire un’idea nel frattempo resa adeguata all’indianità.
E cosa rappresenta questa indianità? Cosa ha rappresentato in questo momento? Beh, l’indianità che si è fatta sentire è anzitutto una voce che ha intimato alla calma.
Ha intimato alla calma nei confronti di questa folle progetto di inserire l’India in maniera piuttosto artificiosa all’interno di un sistema ultracompetitivo che non appartiene alla mentalità indiana. Se il motto dell’India è sempre stato “Amici di tutti, alleati di nessuno”, al netto delle implicazioni militari che sono di stretta attualità, in questo momento essere “amici di tutti, alleati di nessuno”, vuol dire anche avere una propria ricetta per il proprio destino.

L’India è una comunità *veramente* immaginata, per dirla alla Anderson.
Da un punto di vista effettivo, fra popolazioni che sono diversissime per cultura, per religione, per lingua, per stratificazione storica, per retroterra, l‘India non può essere ridotta ad una narrativa artificiale e artificiosa come quella dell’Hinduttva, che di fatto non fa altro che cercare di rendere una maggioranza che è in effetti numericamente cospicua, ma altro non è che una delle tantissime parti che costituiscono l’India, e che non può azzerare tutte le altre in ossequio ad una ideologia comune, sdoganata e vendibile su un piano internazionale.
Ecco, questa cosa funziona bene solo sui social e nella comunicazione “da divano”.
Questa idea artificiale funziona bene con ciò che è artificiale, quindi è stata estremamente efficace per la costruzione di un pensiero artificiale che è stato veicolato su mezzi artificiali come i social network, ma che poi ha fatto i conti con la dura realtà. La dura realtà è quella di una divisione netta tra un’India, diciamo borghese, benestante quando non ricca, e un’India che vive sotto i limiti della sussistenza. Sono i limiti di una realtà che fatica ad occupare tantissimi giovani e li riempie di promesse, ma non dà loro delle soluzioni e preferisce invece ammorbare il dibattito pubblico con delle questioni relative appunto a scontri intercomunitari, alla demonizzazione della comunità musulmana o cristiana, o che dir si voglia, che serve appunto semplicemente per distrarre le opinioni pubbliche nei confronti di problemi molto più gravi e che non ha in realtà in nuce nessuna soluzione per questi problemi che sono invece strutturali e nei confronti dei quali i Governi (di qualunque colore) dovrebbero lavorare con maggiore serietà, cosa che in realtà viene fatta molto poco.

Esiste comunque un complesso industriale in India nelle mani di pochi oligarchi. Per capire la forza del legame tra grande industria e governo in carica, per esempio, facciamo rilevare che il gruppo Adani, alleato di ferro del BJP in questi 10 anni di governo, che è stato il braccio industriale su cui appoggiarsi per riuscire a mettere a terra una serie di progetti infrastrutturali, il giorno dopo le elezioni ha perso in borsa il 7%, che è tantissimo.

E chi altre sono le voci dell’India profonda? 

Le Donne

In attesa di dati più accurati, si può dire che l’ideologia fascistoide dell’Hinduttva non ha attecchito un granché sulla popolazione femminile, che in India è molto legata agli aspetti pratici della vita familiare ed è poco incline alle narrative troppo avventurose. Lo abbiamo in parte visto in West Bengal, con Mamata Banerjee , che governa  lo Stato da ormai tre mandati, e la cui azione di Governo d’impronta progressista è stata premiata con un voto popolare molto alto.

i Dalit

I Dalit, hanno visto messo in a rischio il discorso delle quote riservate, che sarebbe stata un’ulteriore picconata al sistema già agonizzante di ascensore sociale che in una società reale come quella indiana che è caratterizzata da un sistema castale molto chiuso. Abbattere anche da un punto di vista legale le quote riservate per i fuori casta e per le classi svantaggiate metterebbe enormemente a rischio la già scarsa possibilità di promozione sociale di tantissima gente.

L’Azione del Congresso

Cè da tener conto della bontà della campagna elettorale del Congresso, che comunque si è occupata di temi e persone, laddove invece il BJP ha commesso un errore imperdonabile di arroganza, allontanandosi dalla base elettorale e pagandone lo scotto un pochino come i partiti progressisti pagano lo scotto in Occidente, cioè diventando non più il partito della gente, ma il partito dei palazzi.
Tra l’altro il BJP ha fatto questo passo falso conoscendo perfettamente questa sensibilità dell’elettorato indiano, avendoci giocato non poco nel “passaggio di consegne” con l’INC nel 2014. Un’altra cosa a proposito del Congresso da dire è che il blocco dei fondi al Partito in piena campagna elettorale, l’arresto di Kejrival in piena campagna elettorale che è stato poi al centro di un processo presso la Corte Suprema che gli ha permesso di concludere la campagna elettorale con scarsi risultati (solo tre seggi in Parlamento) anche questo sembra sia stato considerato dall’elettorato come una forma di arroganza da parte del governo indiano.

Conclusioni

Insomma, l’India è un paese di un miliardo e 400 milioni di persone. C’è tantissima gente in India, ma bisogna ricordarsi che il prodotto interno lordo e i numeri dell’India dipingono una visione superficiale, una realtà molto differente da quella poi reale sul territorio. E si rischia appunto di confondere le nostre migliori aspettative con la realtà dei fatti. Mi riferisco per esempio al prodotto interno lordo in apparenza ragionevolmente alto, ma che se poi paragonato alle ricadute sulle persone a livello di a reddito pro capite, ci si rende conto che in realtà questa è una fotografia che fa vedere una dicotomia tra India e Bharat, cioè fra un’India più internazionale, borghese, upper class e English speaker, e un’altra India la cui esistenza invece è legata alle tradizioni e alla terra, al piccolo commercio e a lavori scarsamente qualificati, e tuttavia però essa rappresenta la maggioranza delle persone che non
partecipano più di tanto – si può dire pochissimo – quella crescita vertiginosa indiana che ci si aspetta da sempre ma che in qualche modo non arriva mai, e fatica ad arrivare proprio per la natura conciliante che l’India ha nei confronti di sé stessa. Con questo intendo dire che un paese così complesso e caratterizzato da una polifonia così variegata, non può certo essere altrettanto competitivo con altre realtà, come per esempio la Cina a cui viene spesso paragonata (ma che ha un reddito pro capite sei volte quello indiano), la quale Cina ha però un modello dirigista molto differente, ha una cultura fondamentalmente monolitica, una guida politica unilineare e tutto ciò che consegue alla storia, al territorio e alla geografia etnica e politica di quello Stato, che non può essere paragonato all’India. È auspicabile che l’India venga retta da una democrazia così come immaginato dai suoi padri costituenti, proprio perché forse questo è l’unico sistema che permette una pacifica convivenza alle tante popolazioni che ci vivono. O quantomeno, è il più efficace sperimentato finora.
Il prezzo da pagare per questa scelta, però, è una competitività molto limitata, perché se vuoi convivere in pace, devi stare molto attento a come tocchi le leve della competizione, perché in un paese come l’India le leve di una competizione eccessiva che sono state toccate in questi 10 anni da Modi e che presumibilmente continueranno ad essere operate, sono molto pericolose perché sono una probabile sorgente di violenza e di pogrom, che in India deflagrano sempre più spesso.