Ora vi racconto come mai non riesco più a scrivere.
La dimensione del blog si colloca a metà strada tra un diario e un foglio pubblico. Si può pensare questo mezzo di comunicazione, quindi, come un punto di intersezione tra la sfera del pubblico e quella del privato. Un po’ come la derìva privatistica intrapresa dal potere pubblico, con la trasformazione operata – nel corso degli anni novanta del novecento – dal pubblico potere, quando si è operato il passaggio dall’impiego per nomina alla contrattazione collettiva.
In questo periodo, la sfera del pubblico – quella che interessa a me – ha concesso terreno al privatistico.
Ora, il modello è anche culturale, oltre che giuridico. E così, lo spettacolo, l’informazione, l’arte, l’osservazione politica e mediatica vengono giudicate non più da un ‘intelligenza collettiva astratta, bensì da tante intelligenze individuali – concretissime. Mi riprometto tutti i giorni di non fare massa critica in questo sistema che non condivido (divento al limite dell’Hegeliano, di fronte alle “splendide intuizioni di tanta bella gioventù”.
Forse oggi non ce la farò. In questo periodo tutto ciò che mi viene da scrivere, da dire e da commentare, ha come pietra di paragone la misera esistenza del sottoscritto. Sarà la troppa televisione, ma piuttosto che il biografismo, di norma, preferisco il silenzio.
Oggi, però, sono animato da una convinzione: il problema, anche se di natura privata e personale, può diventare di interesse diffuso. Perché la domanda non è più “cosa sarà di me”, ma è diventata:
Come cazzo mi trovo una casa?
Sono tornato a casa dei miei a fine del 2004, a causa di una congiuntura economica particolarmente sfortunata, che mi costrinse ad abbandonare la mia casetta a S. Giovanni anzitempo. Intendiamoci, le cose positive ci sono state: Mi sono laureato, grazie all’assenza di un lavoro dagli orari stritolanti, unita al cessato allarme-mantenimento seguìto al crollo delle spese di affitto , bollette ecc..
Ora, però, la casa è diventata stretta, e io devo andarmene via. Ma come?
La riforma del lavoro avviata da Amato, proseguita con Treu, Dini e completata normativamente con la riforma Biagi , ha introdotto un sistema incentrato su un’idea di flessibilità, degenerata in precaretà in meno di due anni. Il sistema previdenziale, esausto, è in via di ridisegno, mentre la realtà del lavoro autonomo non è presa in considerazione dal sistema creditizio, il quale si ostina a cercare garanzie per erogare prestiti, con la duplice e amara conseguenza di deprimere il giovane lavoratore a progetto e di amplificare la crisi percepita.
Le case in affitto (di comprarla non se ne parla nemmeno) – facendo parte dei beni a rendita, hanno dei prezzi inumani, considerando che un tetto sopra la propria testa in autonomia dovrebbe essere un diritto e non un lusso. D’altra parte è cambiato molto anche lo scacchiere delle proprietà, rispetto agli anni sessanta e settanta. Molte case, infatti, sono affittate da persone che integrano uno stipendio eroso dall’impennata dei prezze del dopo-euro, per poter continuare ad avere un tenore di vita decente. E quando dico decente, intendo proprio questo. “Non indecente”. Parlo di chi ha una famiglia, con costi di cibo, vestiario, istruzione e indotti vari. Parlo della famiglia-tipo, che oggi deve contare su almeno 3.00/3.500€ al mese per ottenere quanto aveva, 10 anni fa, con due milioni di stipendio. Quindi c’è anche un problema etico di soluzione difficile: L’interesse leggittimo del padrone di casa è quello di far studiare il figlio. Quello dell’inquilino è di mettere su famiglia. Nessuno, fino ad oggi, ha saputo offrire una ricetta per avvicinare le parti. Credo sia di competenza dello Stato, da un punto di vista ordinamentale.
Ora, questo è stato uno sfogo oppure una denuncia? vallo a capire: Il confine tra pubblico e privato si assottiglia sempre di più….
Scrivi un commento