Il disco promette e mantiene quella “mollezza” evocata dal titolo: un lavoro dalla pasta morbida e avvolgente, dopo anni di attesa. Il lancio, in stile Björk, è perfetto: un capolavoro annunciato e celebrato, con la voce prima attrice. Questa volta, oltre alla ricerca sonora, portata avanti con collaudata sapienza, ci sono collaborazioni che fanno gridare al capolavoro. Effettivamente, per un disco che vuole esplorare a fondo le possibilità della voce, la presenza di Mike Patton e dell’Arcangelo Robert Wyatt offre un biglietto da visita tra i più blasonati cui si possa aspirare. Il primo ci dà bella mostra di sé nella “Batteria Elettronica Umana”, assieme a Dokaka e Rahzel, soprattutto nel brano Where Is The Line, terza track del disco, brano dalle tensione emotive violentemente evocative, anche grazie all’ Icelandic Choir, presente in tutto il disco. Dal primo pezzo in poi, è un continuo susseguirsi di affreschi sonori, con richiami che spaziano dalla musica circolare dei mandala buddisti, alla polifonia vocale di Pérotin. Il brano di apertura Pleasure is all mine offre una melodia “alla Björk”, nostalgica e mai banale. Via via il disco si apre, con aneliti nordici e incursioni perfino nel pop progressivo. Submarine, in coppia con Robert Wyatt, offre uno spaccato di scuola di Canterbury, gotico più che mai. Who is it, il brano che – ci scommettiamo – verrà cannibalizzato nelle decine di “Radio Edit” e “Remix” che accompagnano da sempre ogni uscita della signorina Gudmundsdottir, è il brano più pop del disco. Orecchiabile, con un refrain accattivante, è arrangiato con grande personalità. Il disco è un’opera di grande spessore, e ci dà l’impressione che la cantautrice islandese sia la punta di un iceberg, che alla base ha una macchina di produzione e lancio di arte ad alto livello. Non possiamo far altro che alzarci in piedi e salutare un ennesimo bel lavoro, che non delude le aspettative, ed è destinato (forse da prima della sua uscita) a fare scuola.
Scrivi un commento